venerdì 26 ottobre 2018

Il Concilio Vaticano II...un tempo di cambiamenti



Una delle sessioni del Concilio Vaticano II all'interno
della Basilica di S. Pietro a Roma

Il Concilio Ecumenico Vaticano II segnò un’epoca di grandi cambiamenti sociali e spirituali, poiché l’idea primaria dei padri conciliari fu quella di voler attuare un confronto diretto che avesse una duplice valenza: ad intra con la Chiesa stessa e ad extra con il mondo intero.
 

 

L’Arcivescovo Montini e il suo pensare al Concilio!

Il 26 gennaio 1959, il card. Giovanni Battista Montini dava l’annuncio solenne alla chiesa milanese della convocazione del Concilio Vaticano ii, indetto da Papa Giovanni XXIII.

Montini scriveva: «Un avvenimento storico di prima grandezza sta per verificarsi; non di odio o di terrore, come sono grandi terribilmente le guerre; non di politica terrena o di profana coltura, come sono grandi fugacemente tanti umano consessi; non di scoperte scientifiche o di interessi temporali, come sono grandi dubbiamente tanti fatti del nostro divenire civile; ma grande di pace, di verità, di spirito; grande oggi, per domani; grande per i popoli e per i cuori umani; grande per la Chiesa intera e per tutta l’umanità».  
Mons. Angelo Roncalli e Mons. G.B. Montini 
 Egli sapeva bene che il Concilio avrebbe portato, senza alcun dubbio, una ventata positiva sulla Chiesa e sul mondo, ma non credeva che l'inizio sarebbe stato così affrettato.
Il card. Giovanni Colombo, nel 1973, riferiva: «quando venne divulgata la notizia che la data d’inizio del Vaticano II era fissata per l’11 Ottobre 1962, ricordo che il card. Montini mi disse con trepidazione: “non siamo ancora pronti, ci sarebbero voluti ancora tre anni di preparazione”. Certo non immaginava che proprio a lui sarebbe toccato ereditare quel Concilio, a suo giudizio, affrettatamente incominciato».
Cardinal Giovanni Battista Montini - Arcivescovo di Milano
Dalla sua lettera pastorale "Pensiamo al Concilio" scritta per la Quaresima, del 1962, alla diocesi milanese si evince con quanta straordinaria delicatezza di sentimenti e acuta intelligenza descriva il destino di Roma nella storia del mondo, lasciando capire apertamente quanto egli si senta figlio di quella grande ed eterna Città, si rivolge a questa come se fosse una persona a lui carissima, amata con ineffabile trasporto, esaltata nelle sue grandezze e benevolmente scusata nelle sue debolezze, comunque sempre presente al cuore e alla mente.

«Due pensieri sono principalmente affluiti al nostro spirito […]. Uno è quello di Roma “patria communis”: nessuno a Roma è forestiero, se al suo genio aderisce. Tutti quanti confluiranno a Roma per questo solenne raduno, vi saranno non stranieri, non ospiti, non viaggiatori, ma cittadini. Chi fa pellegrinaggio a Roma sa e sente questa misteriosa elevazione a cittadino della vera umanità, tanto più chi vi sarà accolto per esercitarvi una funzione – il magistero ecclesiastico – di natura sua universale: sarà a casa sua […]Cristo qui è in divenire: “finché si formi Cristo in noi” (Gal 4,19) è la fatica, è la missione di Roma cattolica; predicare e comunicare Cristo, con impassibile incuria delle difficoltà e delle persecuzioni e con inconcussa fiducia nel suo glorioso ritorno finale. E che il Concilio, cioè tutta la Chiesa predicante ed evangelizzante, si raccolga a Roma dà l’impressione che la sua speranza si spieghi, come una bandiera al vento della storia, e che si diffonda nel mondo inquieto ed incerto come un segno orientatore e confortatore».

Come S. Ambrogio, sentiva in modo opprimente il peso del servizio episcopale a cui era stato destinato.
 

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